LE EMORROIDI

8. feb, 2019

Le emorroidi, malattia molto diffusa, sono delle varicosità del plesso venoso ano-rettale.Quando tale patologia si rende manifesta, colpisce, generalmente il 10% della popolazione sopra i 50 anni (ossia quasi una persona su quattro). Tra i fattori che contribuiscono alla comparsa di una patologia emorroidaria troviamo: la familiarità, una dieta povera di fibre, uno stile di vita sedentario, uno sforzi prolungato alla defecazione spesso associato ad una stipsi, la gravidanza e l’obesità. Ne deriva che la prevenzione principale verte su una dieta ricca di fibre, un adeguato introito di acqua ed una costante attività fisica. Secondo la Classificazione di Goligher, le emorroidi vengono suddivise in 4 gradi: 1)interne al canale anale; 2) presenti sul margine anale; 3) esterne ma riducibili manuale e 4) esterne, non riducibili (cosiddetto prolasso permanente). I primi due gradi vengono definiti emorroidi interne, gli ultimi 2 emorroidi esterne. I sintomi sono i più vari:sanguinamento alla defecazione, anemia, dolore prurito e bruciore perianale, secrezioni muco-sierose, senso di peso sensazione di incompleto svuotamento rettale. In presenza di questi sintomi è necessaria una visita proctologica che miri ad una corretta anamnesi (colloquio col paziente), ispezione della regione perianale, esplorazione rettale e successiva rettoscopia. Una delle complicanze, la più dolorosa, è la comparsa di tromboflebite, ossia di un trombo all’interno di queste varicosità. Fortunatamente la maggior parte dei soggetti che soffrono di tale condizione, risponde alla terapia medica conservativa, anche se in molti si assiste ad una cronicizzazione dei sintomi. Poiché la terapia medica topica (supposte, creme,..), dopo un’iniziale benessere tende a perdere di efficacia, bisogna sostituire i preparati. Se però, anche in questo caso, non si ottengono i benefici sperati, bisogna rivolgersi ad un chirurgo proctologo per un eventuale intervento chirurgico.

CALCOLOSI DEL COLEDOCO

25. giu, 2018

I calcoli del coledoco o della via biliare principale si riscontrano in circa il 10-15% della popolazione. L’approccio endoscopico prevede l’esecuzione in regime di ricovero di una Colangiopancreatografia endoscopica retrograda (CPRE), ossia di una procedura che attraverso un’Esofago-Gastro-Duodenoscopia (EGDS) che utilizza come strumento il duodenoscopio a visione laterale, permette di raggiungere lo sbocco del coledoco nel duodeno e di rimuovere i calcoli presenti. Essendo un esame invasivo deve essere eseguito solo dopo che la Colangio-RM (risoananza) ha documentato i calcoli non tanto a fini diagnostici quanto piuttosto terapeutici, come l’ estrazione degli stessi. Mediante un sottile catetere viene incannulata la papilla di Vater (papilla major) e, successivamente, sotto fluoroscopia, si inietta del mezzo di contrasto liquido nel dotto biliare in senso retrogrado o contrario rispetto al normale flusso delle secrezioni che rende opachi il dotto biliare comune e i suoi rami tributari rendendoli riconoscibili sul monitor radiografico. Nel 1974, Classen e Kawai introdussero la sfinterotomia endoscopica (ES), come la procedura standard per il trattamento endoscopico  in corso di diverse patologie riguardanti le vie biliari, specialmente per i calcoli del coledoco. La ES viene eseguita per ampliare l’apertura della papilla e consentire di procedere con altri trattamenti attraverso il dotto biliare. La dilatazione pneumatica endoscopica dello sfintere biliare (papilla major) fu descritta per la prima volta da Staritz nel 1983. Con tale metodica viene  introdotto attraverso il canale operativo del duodenoscopio un “palloncino” che viene fatto “gonfiare” sotto visione endoscopica e radiologica. In particolare, questa tecnica viene utilizzata per i calcoli di grandi dimensioni (un calcolo che misura più di 2 cm) e per quelli “difficili” (formazioni litiasiche multiple). Sono disponibili inoltre metodiche come la litotripsia extracorporea e la radiologia interventistica che consentono l’asportazione dei calcoli molto voluminosi o situati all’interno del fegato non estraibili durante la CPRE. La dilatazione pneumatica sembra presentare due vantaggi soprattutto, rispetto alla sfinterotomia endoscopica: preserva lo sfintere e comporta un rischio di emorragie  inferiore.

 

Foto tratta dal lavoro: Maddalena Zippi et al. Endoscopic papillary balloon dilation for difficult common bile duct stones: Our experience. World J Clin Cases 2013 April 16; 1(1): 19-24

I “FERMENTI LATTICI”: ALCUNE PRECISAZIONI

25. giu, 2018

La disbiosi intestinale o dismicrobismo intestinale si caratterizzata da uno squilibrio della flora batterica enterica. Quali “fermenti lattici” utilizzare per riequilibrare la “flora intestinale”, probiotici o prebiotici? Il Ministero della Salute definisce la corretta nomenclatura. Il termine probiotico si riferisce a quei microrganismi vivi e attivi, che sono in grado, una volta ingeriti in adeguate quantità, di raggiungere l'intestino, moltiplicarsi ed esercitare un'azione di equilibrio sulla microflora intestinale mediante una colonizzazione diretta. La definizione di prebiotico riguarda, invece,  quelle sostanze non digeribili di origine alimentare che, sempre assunte in quantità adeguata, favoriscono selettivamente la crescita e l'attività di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale. Alcuni “integratori” sono simbiotici, ossia contengono sia probiotici che prebiotici.

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 Blog della Dott.ssa Zippi Maddalena su Paginemediche.it (https://www.paginemediche.it/medici-online/maddalena-zippi/blog/fermenti-lattici-per-riequilibrare-la-flora-intestinale)

La Rettocolite ulcerosa ed il rischio di cancro colorettale.

25. apr, 2018

La rettocolite ulcerosa (RCU), malattia infiammatoria cronica intestinale, si riscontra maggiormente nei paesi occidentali più industrializzati, giungendo a coinvolgere fino 1 su 1.0000 persone. La comparsa dei sintomi avviene principalmente tra i 15 ed i 40 anni, con un secondo picco tra i 50 e gli 80 anni. L'associazione tra la RCU ed il cancro colorettale (CRC) è stato riportato per la prima volta nel 1925 ed è ormai un dato ampiamente riportato nella letteratura internazionale. La RCU aumenta il rischio di sviluppare un CCR di circa 20 volte, rispetto alla popolazione sana. Il CRC associato alla RCU (CRC-RCU) colpisce, generalmente,  i pazienti in età più giovane rispetto al CRC sporadico. Fattori di rischio per lo sviluppo del cancro sono considerati principalmente la durata della malattia (più di 10 anni) e l'estensione anatomica che coinvolge tutto il colon (pancoliti), nonche’ la coesistenza di una colangite sclerosante (infiammazione delle vie biliari intra ed extra epatiche). Cambiamenti displasici, nella mucosa del colon nei pazienti affetti da RCU, sono associati ad un aumentato rischio di tumore del CRC. Nel corso di questi anni, i programmi di colonscopia di sorveglianza, intesi come diagnostica preventiva, sono stati sviluppati con l'obiettivo di ridurre la morbilità e la mortalità a causa di CRC, dimostrando di modificare radicalmente la storia evolutiva di questi pazienti. Tappa fondamentale quindi nello sviluppo del CCR nella RCU è la comparsa di displasia nella mucosa. Dal punto di vista anatomo-clinico la displasia può manifestarsi come piatta, ed è quindi riscontrabile solamente dopo analisi del campione bioptico ottenuto nel corso di colonscopia con biopsie multiple, o può essere presente sotto forma di lesioni rilevate. Queste ultime, si dividono in DALM (“dysplasia-associated lesion or mass”) e ALM (“massa adenoma-like”). Macroscopicamente, le DALM sono definite come lesioni tipo massa o placche, rilevate, che compaiono in aree interessate dal processo infiammatorio (anche solo a livello microscopico). L’importanza di identificare le DALM nasce dal rischio di carcinoma intrinseco alla loro presenza (36-85%). Infatti, queste lesioni sono ad alto rischio di progressione verso il CRC e sono frequentemente associate a neoplasia sincronica o metacrona. In questi casi, si raccomanda ai pazienti che presentano DALM di sottoporsi a proctocolectomia profilattica. Le ALM descrivono adenomi sporadici che vengono trattati con la polipectomia endoscopica. Lo screening endoscopico-bioptico, appare assolutamente necessario, per la corretta sorveglianza dei pazienti con RCU.

Le recenti linee guida della ECCO (European Crohn’s and Colitis Organisation) suggeriscono di eseguire una colonscopia di screening dopo 8-10 anni dall’ esordio dei sintomi (che talvolta puo’ precedere di molto la data delle diagnosi) in tutti i pazienti affetti da RCU, per riverificarne l’ estensione. Le successive colonscopie di sorveglianza dipendono dall’estensione nota o rivalutata allo screening. Sempre secondo queste  linee guida, la procedura di sorveglianza di scelta, per endoscopisti esperti, dovrebbe essere la cromoendoscopia (coloranti vitali che migliorano la visione della mucosa) associata a  biopsie mirate. Alternativamente, in corso di colonscopia di sorveglianza “tradizionale”, devono essere eseguite biopsie su tutti i quadranti ogni 10 cm, e biopsie mirate di qualsiasi lesione visibile. E’ stato calcolato che per ottenere un’accuratezza diagnostica del 90%  sarebbe necessario eseguire almeno 33 biopsie. Attualmente, in alcuni centri, si utilizza per la sorveglianza endoscopica l'imaging a banda stretta (NBI), ossia colonscopi dotati di filtri che modificano la larghezza di banda della luce. A queste lunghezze d’onda si verifica l'assorbimento della luce da parte dell’ emoglobina, facilitando una più chiara visualizzazione delle lesioni vascolari durante l’esame. E' ben noto che sia gli adenomi che i carcinomi hanno una più ricca rete vascolare rispetto alla mucosa normale, in questo modo, appaiono marrone scuro rispetto allo sfondo verde-blu della mucosa circostante. L’NBI, insieme all’ ingrandimento (magnificazione), permette di evidenziare un “pit pattern”, come quello descritto nella classificazione di Kudo, aiutando a distinguere se la lesione è displasica. Da tutto questo si evince, in piena unanimità delle varie associazioni scientifiche, di attuare programmi di sorveglianza endoscopica nei pazienti affetti da RCU al fine di prevenire l’insorgenza del CCR.

Dott.ssa Maddalena Zippi

lA MALATTIA CELIACA ED IL RISCHIO DI SVILUPPARE TUMORI

8. apr, 2018

La malattia celiaca (MC) è caratterizzata dal danno della mucosa del piccolo intestino causato dalle prolamine (frazioni solubili in alcol) di frumento, orzo, segale in soggetti geneticamente predisposti. La gliadina è la frazione del glutine associato allo sviluppo del danno intestinale. La presenza di glutine nell’intestino conduce ad un danneggiamento della mucosa autoperpetuantesi, mentre l’eliminazione del glutine dalla dieta determina la completa guarigione della mucosa. In Italia, nel 1990 si riteneva che vi fosse un caso ogni 1000 abitanti. Lo screening del ’94 fece rilevare che ve n’era 1 ogni 200. Oggi sappiamo che l’incidenza della malattia celiaca è di 1 ogni 100/150 abitanti con un rapporto femmine/maschi di 2:1. Quindi in Italia vi sono all’incirca mezzo milione di celiaci! Da una recente indagine promossa dall’AIC (Associazione Italiana Celiachia), in una famiglia in cui v’è un celiaco, nell’17% circa dei casi ve n’è un altro, nel 20% due. Ciò indica l’importanza dell’estensione dello screening relativo ai familiari dei celiaci. L’introduzione nella pratica clinica di nuovi ed efficaci test di screening sierologici (AGA, EMA, TRANSGLUTAMINASI) e l’uso più frequente della biopsia intestinale endoscopica hanno sicuramente contribuito all’identificazione di nuove modalità di presentazione della malattia. Una classificazione estensiva (Corazza), contempla una forma CLASSICA con sintomi intestinali e sierologia e biopsia inintestinali positivi; una forma ATIPICA con manifestazioni extraintestinali e sierologia e biopsia positivi; una forrma SILENTE con soli reperti bioptici e sierologici positivi; una forma LATENTE con sola sierologia positiva; una forma POTENZIALE che riguarda i soggetti a rischio dove la predisposizione genetica può favorire i processi immunologici che portano alla MC. Tale modello è stato spesso paragonato ad un iceberg, in cui la parte emersa, ossia la forma classica, è rappresentata solo da una piccolissima parte di pazienti. Il cardine del trattamento dei pazienti con MC è l’eliminazione dalla dieta per tutta la vita dei cibi che contengono frumento, segale ed orzo. Tra le complicazioni gravi che sono state associate alla MC, vi sono molte prove che l’incidenza di neoplasie maligne è maggiore negli adulti con MC che non nella popolazione generale. Alcuni lavori pubblicati, riportano che tumori maligni si erano sviluppati nel 11-13% dei pazienti con MC. I più frequenti sono i linfomi, generalmente di tipo T, (intestinali ed extraintestinali) ed i tumori dell’esofago, ma sono state osservate altre neoplasie maligne intestinali ed extraintestinali, come l’adenocarcinoma del tenue. Il rischio di neoplasia faringea ed esofagea è di circa 10 volte più elevato che nella popolazione normale, quello per il linfoma risulta aumentato di 40 volte, mentre per l’adenocarcinoma del tenue è ancora più elevato (80 volte). La stimolazione immunologica e l’aumentata permeabilità intestinale sono elementi a favore della teoria biologica che sostiene la possibilità di un aumentato rischio per il linfoma e l’adenocarcinoma del tenue. Nei pazienti con MC accertata è utile una ricerca approfondita di neoplasie maligne dell’apparato gastrointestinale se, dopo un miglioramento iniziale dalla sospensione del glutine, successivamente essi presentano sintomi quali perdita di peso, malassorbimento, dolori addominali o emorragie intestinali nonostante la stretta osservanza alla dieta (celiachia refrattaria). Gli studi utili comprendono lo studio radiografico con contrasto dell’intestino tenue, la TAC addominale e pelvica, l’endoscopia del tenue con prelievi bioptici multipli. Per quanto detto, esiste unanimità tra i medici secondo cui tale rischio resta sufficientemente significativo da giustificare il rispetto di una dieta rigorosa anche nei pazienti asintomatici.

Tratto da: "La malattia celiaca" di Maddalena Zippi (ALTEG- Associazione per la lotta contro i tumori infantili, 2013).